Vivere per lavorare o lavorare per vivere?

L’Italiano medio soffre sempre di più il lavoro. È un dato di fatto ma sul concetto di lavoro c’è tanto da dire e anche qualcosa da non dire. La frase che più rimbomba nelle nostre menti – quando si prova a trattare il tema del lavoro – è questa: “si vive per lavorare o si lavora per vivere”?

RealisticaMente parlando, la pandemia in corso d’opera ha cambiato eccome anche l’aspetto del mondo del lavoro oggi nel nostro Bel Paese. E l’ha fatto, inconsapevolmente, anche a discapito degli stessi lavoratori. Se prima si lavorava per vivere, oggigiorno si potrebbe dire che i lavoratori (quelli stabili e fortunati ad avere un lavoro) lavorano per sopravvivere.

Certo è anche vero che le molte aziende stanno assumendo comportamenti poco gradevoli nei confronti dei possibili nuovi impiegati. Le selezioni, di questi tempi difficili e di incertezza generale, avvengono molto a rilento ma avvengono comunque. E anche qui, ai folli sognatori che provano ad intraprendere un viaggio nel vivere per lavorare o lavorare per vivere, non resta che sperare che vada tutto bene.

SMARTWORKING 

Uno dei neologismi, generalmente appropriatosi dalla nostra lingua dal mondo anglosassone, è smartworking che possiamo tranquillamente definire, secondo la nostra nobile lingua, come “lavoro agile”. Ma è veramente così? Leggendo un po’ sui vari social, molti si lamentano di questo aspetto soprattutto per il fatto che, da casa, si lavora di più.

Tra i benefit, però, delle aziende, anche coloro che assumono, si legge appunto “smartworking”. Possiamo considerarlo, RealisticaMente parlando, un benefit? Sotto molti aspetti sì, però si dovrebbe dare al lavoratore le stesse garanzie che si hanno nell’ ufficio aziendale.

Eppure di lavoro si potrebbe parlare e dire tanto. Ci sono lavori, ovviamente, che non prevedono il cosiddetto smartworking e ci sono anche lavori che, comunque, essendo molto innovativi, si potrebbero e dovrebbero svolgere solamente da casa.

Ma la domanda, anche in questo caso, potrebbe essere spontanea se analizziamo fino in fondo – come RealisticaMente fa da anni ormai – la realtà che ci circonda: c’è lavoro in Italia? Sulla carta sì, ma bisogna sempre andare in fondo alla realtà dei fatti. E la relazione tra domanda e offerta, forse, non sempre è equa.

FUGA DEI CERVELLI

Se i talenti restano e resistono è perché qualcuno prova a credere in loro. Oppure anche per il semplice fatto che molti si devono accontentare. I talenti, o anche i semplici “cervelli” nel nostro Paese sono eccellenze delle quali non dovremmo mai privarci. Eppure, complice anche la crisi economica dovuta alla pandemia, qualcuno prova ancora a fuggire.

Non si fugge perché l’Italia non è bella ma si fugge perché è bella ma non balla. E quando c’è da ballare o tirare in ballo il rapporto lavorativo sempre tra domanda e offerta, non si potrebbe nemmeno dire di vivere per lavorare ma si lavora per sopravvivere.

E voi, RealisticaMente parlando, come rispondereste a questa domanda?