Il pericoloso aumento degli Hikikomori

Crescono sempre di più i ragazzi che decidono di autoescludersi e vivere nel buio.

Di Luca Giuseppe Murrone

Oltre centomila casi in Italia ma i numeri tendono sempre ad aumentare. Sono gli “hikikomori” , ragazzi che in un momento particolare della loro vita decidono di isolarsi, di autoescludersi nelle loro stanze e vivere, così , nel buio più totale.

A pagina 21 della Repubblica di venerdì primo giugno, in un articolo firmato da Maria Novella De Luca, viene raccontata e testimoniata la storia di un adolescente che vive da due anni nel buio. Due anni che non esce di casa, due anni che la sua vera fonte di luce è lo schermo del televisore al quale è collegato il suo (loro) vero amico: il videogioco. Un mondo finto ma che, paradossalmente , piace.

Il termine hikikomori, come si potrebbe intuire, ha origini giapponesi. Proprio in Giappone infatti, si registrano oltre 500 mila casi del genere. “Questi ragazzi, ormai, posseggono e ottengono tutto ciò che vogliono!” Potrebbe chiosare un amante del detto popolare “si stava meglio quando si stava peggio” eppure, in questi casi, il tutto è niente. C’è una dichiarazione del ragazzo, riportata dalla giornalista di Repubblica, che deve far riflettere: “Oltre le finestre c’è gente che non mi piace”. Una riflessione che punzecchia un mondo malato di egoismi e presunzione, eppure, secondo loro, la vera ancora di salvezza è autoescludersi.

Il ragazzo in questione ha abbandonato la scuola da due anni. Proprio da quando ha deciso di dedicarsi solo a sé stesso. Eppure la scuola dovrebbe aiutare questi ragazzi, dovrebbe proteggerli ma non sempre l’obiettivo didattico-educativo impostato raggiunge i risultati sperati.

La fonte di vita e luce per questi ragazzi (i numeri parlano di maggioranza maschile anche se sono in aumento le donne), dunque, è la rete, che li avvolge dentro, nelle sue insidie e li risucchia. In quel mondo finto, tutto assume un senso, anche se, realisticamente parlando, non dovrebbe essere così.

Attenzione, però, a non scambiare la dipendenza dalla rete con la causa principale dell’hikikomori. Come si spiega bene sul sito delLa principale associazione che tutela e vigila sugli hikikomori che si chiama, appunto, Hikikomori Italia (Associazione Nazionale di Informazione e Supporto sul tema dell’isolamento sociale volontario, sul proprio sito internet www.hikikomoriitalia.it, l’utilizzo del web da parte degli hikikomori è da intendersi come una conseguenza dell’isolamento spontaneo e non, come banalmente potrebbe pensare qualcuno, come una causa. Anche la conoscenza di che cos’è e, soprattutto, cosa non è questo fenomeno che fa sempre più rumore, dal punto di vista mediatico, aiuta ad affrontare meglio il problema.

Paolo (nome fittizio e protagonista della storia riportata da Repubblica ) non vive in un posto sconosciuto del mondo, bensì a Roma, dove, nonostante tanti problemi, c’è pur sempre tanta bellezza e meraviglia da ammirare. Nonostante tutta la bellezza attorno, a Paolo, la vita reale non piace.

Chi, almeno una volta nella propria vita, in un momento di sconforto personale, non ha detto, in fondo, frasi del tipo “questa vita fa schifo”. Capita spesso, dunque, far ragionamenti di questo tipo. Se capita, però, ad oltre centomila ragazzi (solo in Italia) il problema non va assolutamente sottovalutato.

Come spiega bene, nella conclusione del suo articolo la giornalista di Repubblica, a Paolo se gli venisse assegnato un posto di lavoro smetterebbe di “vivere nel buio”. Chissà a quanti di noi si accenderebbe la luce se ci venisse assegnato il tanto sognato posto di lavoro. Chissà quanti problemi sarebbero annientati dall’energia della luce. Nonostante questi sogni, bisogna fare un viaggio nella realtà che ci circonda e con la propria forza vedere oltre la finestra, vedere oltre l’orizzonte perché prima o poi la luce arriva per tutti. Lo posso fare io, lo puoi fare tu, lo può fare Paolo e lo possono tuti gli hikikomori del mondo.