IL CULTO DEL “BOSS”

di LUCA GIUSEPPE MURRONE


Oltre alle manifestazioni solenni  per festeggiare il 71esimo anniversario della Repubblica Italiana, lo scorso 2 giugno,  i media italiani- e non solo- hanno concentrato la propria attenzione su un fatto di cronaca: l’arresto del boss della ‘ndrangheta Giuseppe Giorgi.

Giorgi, detto “U CAPRA”, è stato arrestato dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria dopo una lunga latitanza durata ben 23 anni.

Finalmente dopo 23 anni “U CAPRA”, considerato uno dei 5 latitanti più pericolosi, è stato arrestato, proprio a casa sua.

Giuseppe Giorgi si era costruito un bunker nella sua abitazione  a San Luca, quel paese della Calabria meridionale, dove la ‘ndrangheta ha il marchio dop, dove regge, ancora, il culto del boss.

Le immagini provenienti dai tg nazionali che testimoniano l’arresto fanno vedere due facce della nostra penisola: da una parte le urla di gioia e gli abbracci di quei militari, la maggior parte a volto coperto, che esultavano per la cattura del boss; dall’altra c’era chi, all’uscita di casa di Giuseppe Giorgi,era pronto ad omaggiarlo con applausi, inchini e addirittura bacia mano.

In quelle immagini, c’era l’Italia della bellezza: i nostri militari che quotidianamente rischiano la vita per tutelarci.

Storie di uomini e donne, servitori dello stato, che con il loro sacrificio tendono di far un po’ di pulizia da “quella montagna di merda che è la mafia”.

Non ci dobbiamo vergognare, realisticamente parlando, a dire che la mafia è una montagna di merda, ma quanta ipocrisia vige sull’affermazione di questo concetto.

In quelle immagini, però, c’era anche l’Italia dell’ignoranza che dilaga.

In Calabria, ancora oggi, nel 2017, quando dovremmo essere tutti mentalmente più evoluti, vige la “regola del culto al Boss” come se  appunto il Boss a San Luca- e non solo- portasse un po’ di notorietà in più- una sorta di marchio di fabbrica per il paese.

Vedere uomini, donne e addirittura bambini inchinarsi ed omaggiare un boss è la sconfitta più grande che una terra bella, ma difficile, come la Calabria, possa subire.

E quando vedi queste immagini ti soffermi e dici: a che servono gli esempi di martiri di giustizia come Falcone e Borsellino? A che servono le giornate e i festival di legalità nelle scuole?

Il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, uno dei massimi esponenti di legalità e di lotta alle mafie del nostro paese, ribadisce che “la cultura è la miglior arma per sconfiggere le mafie”.

Continuiamo ad acculturarci, quindi, a vedere in faccia la realtà, proprio come ci poniamo di fare noi di realisticamente.

La realtà però ci porta a vedere che in Italia c’è fin troppa ipocrisia davanti a questo tema così importante, ci porta a vedere a come la gente faccia la fila per offrire un caffè al boss- o delinquente qualsiasi- appena uscito dal carcere.

Siamo ipocriti noi italiani, tutti pronti a professarci maestri della legalità e dell’antimafia sui nostri profili social e nello stesso tempo i primi a professare quell’antipatico “culto del boss”.