Educhiamo alla bellezza sotto il segno di Peppino

Made with love by Luca Giuseppe Murrone

Giuseppe Impastato, noto come Peppino, era un giovane giornalista siciliano, tanto amante della propria terra e della propria “Cinisi” che voleva provare a cambiarla, a ribellarsi ai “soliti”. Peppino nasce in una famiglia mafiosa ma senza mezzi termini – con un’espressione di libertà – adotta un motto che, ancora oggi è popolare “Noi ci dobbiamo ribellare”. Nel 1978, a 30 anni, si candida con “Democrazia Proletaria” all’elezioni comunali e dal microfono della sua radio, continuava a criticare la mafia.

“Era una notte buia dello Stato italiano quella del 9 maggio 1978” cantano i Modena City Ramblers nella famosa canzone dal titolo “I cento passi”. Due omicidi, delitti che hanno stravolto il Paese. Il corpo del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, in quella notte, venne ritrovato privo di vita in via Caetani a Roma. E C’era anche chi pensò che Peppino si fosse, addirittura, suicidato.

Non era così, non era affatto così. Grazie all’impegno di sua madre Felicia, al centro di memoria Peppino Impastato e ai suoi amici, compagni, dopo 20 anni venne fatta giustizia. Impastato morì nella sua Cinisi a soli 30 anni per mano di quella che lui ha definito “una montagna di merda”. Aveva sete di libertà, di voglia di giustizia e – come ricordano bene i Modena City Ramblers nella canzone diventata simbolo, insieme al film, della memoria di Impastato, i Cento Passi – negli occhi si leggeva la voglia di cambiare.

Cosa voleva cambiare Peppino? Non voleva, di certo, fare l’eroe. Voleva, soltanto, rendere più pulita la propria terra, voleva fare un’operazione ecologista, in un certo senso, smacchiando la sporcizia che logorava la sua Cinisi, la sua Sicilia.

Perché, a volte, il profumo degli aranci passa sotto traccia alla puzza di merda della mafia. E Peppino lo sapeva, lo sapeva benissimo. L’hanno ammazzato a soli 30 anni perché lui sapeva, vedeva, e parlava. Parlava con la forza e la voglia di libertà, di giustizia che un giornalista possiede.

Peppino era questo e molto di più. Dal 1978 ad oggi, Peppino, rivive nella sete di speranza di molti giovani che – con convinzione – hanno scelto di percorrere una strada sana, bella e, perché no, a far privilegiare il profumo degli aranci, a far emergere la bellezza dei vespri che caratterizzano quella terra. Nel ricordo di Peppino e di tutte le vittime innocenti di mafia, questa strada deve continuare. Non può fermarsi qui, ad un ricordo, una preghiera, una commemorazione.

Il 9 maggio è solo una data, orrenda, che 42 anni fa ha fatto perdere la vita, contemporaneamente, a due persone importanti del nostro paese, una rappresentava la politica, Aldo Moro. L’altra rappresentava e continuerà a rappresentare tutti noi, liberi cittadini, che vogliamo continuare a essere liberi. L’hanno ucciso, a lui come a tanti altri, ma non potranno mai uccidere la memoria. Peppino era un seme che sarà sempre fertile, anche grazie a noi.

A Peppino Impastato:

Caro Peppino, caro Amico mio. Non ci siamo mai conosciuti di persona perché non ero ancora nato quando ti hanno ucciso. Sono nato circa 20 anni dopo dal tuo omicidio e – sicuramente – quello che sono oggi, il cittadino che sono e che continuerò ad essere in futuro è anche merito tuo. Perché, è paradossale dirlo, a volte quando si muore così si è più vivi che mai. Si rimane vivi in eterno, nell’animo e nelle speranze di tanti giovani me compreso.

Quando ho scelto, già da qualche anno, di inseguire, con forza coraggio e determinazione la mia passione verso la scrittura e verso il giornalismo, l’ho fatto anche grazie al tuo esempio e a quello di Giancarlo Siani.

Caro Peppino, quella montagna di merda ti ha ucciso 42 anni fa, ma i tuoi ideali di giustizia, la tua ribellione, la tua voglia di bellezza perché come dici tu “Se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà” rimangono in eterna.

Caro Peppino, continueremo ad educare alla bellezza, con i tuoi insegnamenti. Continueremo a preferire l’odore sano del mare, alla puzza di denaro sporco o a quella merda della droga. Continueremo a scrivere e sognare, gridando forte e senza aver paura.

E tu continua a guidarci e segnarci la strada perché non ci possiamo rassegnare, noi ci dobbiamo ribellare anche praticando la bellezza. “Allora forza, dai, conta e cammina”.

Ciao Peppì, non ti dimenticheremo mai, perché il 9 maggio è sempre!