DA AEMILIA ALL’EMILIA

di Luca Giuseppe Murrone
È una notte lunga e gelida. La nebbia padana ha lasciato spazio alle luci delle sirene e i fari degli elicotteri sembrano andare a caccia di qualcosa di sporco, per provarne a fare un po’ di pulizia. È la notte di Aemilia, quella a cavallo tra il 27 e il 28 gennaio 2015. Per alcuni indimenticabile. Per altri, forse, RealisticaMente parlando, già dimenticata.

Numeri impressionanti, allarmanti, hanno fatto capire che no, la benestante Emilia, terra di partigiani e di Resistenza, non era, non è stata, non è e non sarà mai terra immune al malaffare.
La ‘ndrangheta si era insediata e continua ad alloggiare in Emilia Romagna come in tutto il Nord Italia e oltre. Una contaminazione di accenti, culture, lingue e sapori, che ha permesso la colonizzazione completa dell’Emilia.

PRIMA

C’è un prima che va ricercato nella più grande operazione antimafia nel Nord Italia denominata “Aemilia”. C’è un lavoro costante di uomini e donne delle forze dell’ordine che si sono impegnati sul campo per scoperchiare dei vasi di pandora che, almeno sulla carta, sembravano cose lontane da tutti.

Sembravano solo storie di coppole e lupara. Affari tra uomini del Sud ma quel provocatorio murales con tanto di scritta “Io sono calabrese e voi no” comparso su una delle vie urbane principali di Reggio Emilia ci fa capire che la Calabria e l’Emilia distano – RealisticaMente parlando – solo sulla carta 1000Km. In realtà, infatti, nel tempo sono diventate sempre più vicine.

ISOLA FELICE?!
Macchine lussuose e vestiti per bene. Dalla Magna Grecia, i “new bussinessman” della ‘ndrangheta salivano e continuano a farlo per lo Stivale fino a cercare ricchezze, consensi. Perché – come dicono spesso Antonio Nicaso e Nicola Gratteri – <>.

RealisticaMente parlando potremmo dire che non conviene praticare attività illegali. Ma si sa, errare humanum est. Soprattutto, però, perseverare è diabolico.

Nel prima Aemilia sono stati tanti ad errare e perseverare. C’è anche chi, però, in mezzo a quella nebbia mischiata a fumo intenso e acre di macchine che nella notte saltavano in aria, iniziava a storcere il naso e magari anche con l’ausilio della penna – arma tanto fragile quanto potente – iniziava a far cronaca che no, l’Emilia, non era, non è e non sarà mai un’Isola Felice.
DURANTE
Il durante è un film dell’orrore. Il prima, il durante e il dopo, però, occorre precisare, che si mischiano, completano e confondono tra di loro. Perché, come in tutte le ascese e discese socio culturali di un determinato fenomeno, anche per quanto riguarda l’espandersi della mafia e in particolare della ‘ndrangheta in Emilia Romagna, i fatti più volte parlano al passato, si immergono nel presente e guardano al futuro.

Aule bunker. Il primo Comune emiliano-romagnolo sciolto per mafia. E chissà cosa avrebbero detto don Camillo e Peppone, dinnanzi, appunto, allo scioglimento per mafia del Comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia, epicentro logistico della dinastia cutrese-reggiana della cosca Grande Aracri.

Di Grande, oltre al capo cosca, ci sono i numeri di un’operazione e poi maxiprocesso che – anche se alcuni lo hanno già dimenticato e altri vorrebbero farlo – non potrà mai essere archiviato. Perché quello che è successo e, forse, continuerà sempre ad accadere non può essere determinato solo ed esclusivamente da sentenze giudiziarie.
Perché il durante è una ferita aperta. Sono 1000 giorni ( di TIZIANO SORESINA EDITO DA ALIBERTI) , come il libro dell’amico e collega della Gazzetta di Reggio, Tiziano Soresina che è stato lì, in quell’aula bunker creata ad hoc nel Tribunale di Reggio Emilia. Per raccontare aneddoti e sviluppi di una storia che non possiamo mai dimenticare.

Eppure la storia si evolve. Ci sono le attività di sensibilizzazione alla legalità quotidiana ma c’è anche, nel durante della più grande operazione antimafia nel Nord Italia, chi prova a dire il contrario. Chi prova a sminuire il lavoro di cronisti, spesso attaccati, umiliati, derisi e soprattutto minacciati. Ci sono spari, ci sono segnali di fumo e – spesso – a malincuore (da calabrese) c’è anche chi continua a dire “io sono calabrese”.

Nel durante Aemilia c’è anche chi si è preso il lusso e si è assunto la propria responsabilità dedicando una canzone inneggiando al fatto che fosse solo una canzonetta quell’operazione condotta da ben tre DDA quella di Bologna, di Catanzaro e quella di Brescia.

SBAGLI?
Cosa abbiamo sbagliato, quindi? Me lo sono chiesto tante volte nel corso degli anni. È vero che, scrivere e occuparmi di cronaca che spesso interseca i meccanismi criminosi e culturali della mafia a stampo calabrese, non è semplice soprattutto per la crisi generale che coinvolge il settore dell’informazione e dell’editoria.

Quella mattina stavo semplicemente andando in Università, proprio a Reggio Emilia. A pochi metri da me la Calabria, della quale nutro sempre profonda tristezza ma anche nostalgia, è sembrata più vicina che mai. I nomi non mi erano sconosciuti. Alcuni erano già noti, altri ignoti e altri insospettabili e proprio per quei nomi insospettabili che ho provato rabbia e continuo a provarne.

Al di là delle sentenze e del massimo rispetto per la giustizia, lo sviluppo semantico del termine “insospettabile” per quanto riguarda la ‘ndrangheta sembra essere svanito. Non esiste più questo termine. Tutto il mondo è Paese e mamma ‘ndrangheta che continua a proteggere i propri “malandrini” dall’alto di San Luca, osserva e continua ad osservare gli sviluppi criminali che interessano l’Emilia così come la Calabria. Dalla Valle D’Aosta – come documentano anche Nicaso e Gratteri all’interno del loro ultimo libro “Complici e Colpevoli” – fino a passare per Duisburg, in Germania e andare oltre i confini.

Non ci sono, quindi, RealisticaMente parlando, insospettabili ma solo “Complici e colpevoli”. Cosa abbiamo sbagliato, quindi? E cosa, forse, incoscientemente, continuiamo a sbagliare nel prima, nel durante e nel dopo Aemilia? L’importante è capire chi siamo, da dove veniamo e soprattutto scegliere sempre, in Calabria, come in Emilia, in Germania come negli Stati Uniti, da che parte stare.

Il futuro è allora tutto da vedere ma affinché un futuro sia privo di malaffare occorre fare la nostra parte: parlando, scrivendo, ribellandoci e creando nuove Resistenze.