23 maggio 1992, un po’ di quel che sono è nato quel giorno

Delle morti che hanno fatto nascere tante consapevolezze di stare dalla giusta parte

di Luca Giuseppe Murrone

Silenzio, ricordo. Non ero ancora nato quel giorno, eppure sento che un po’ del mio essere ciò che sono, parte proprio, da quel giorno. Era il 23 maggio 1992. Una strage, quella di Capaci, che ancora oggi, a distanza di 26 anni, porta con sé tanto vuoto e silenzio. Giovanni Falcone, quel grande uomo d’onore è stato fatto saltare in aria. Insieme al Giudice, sono morte altre 4 persone: la moglie di Falcone, Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

Passano gli anni ma rimane la memoria, perché se quella montagna di merda si è permessa di annientare la vita di Veri Uomini d’onore come Falcone, Borsellino e di altre numerosissime vittime, deve sapere che non potrà mai infangare il loro ricordo, la loro memoria. Da quando, quasi un anno fa, l’ispirazione naturale che la mia famiglia ha verso la scrittura, ci ha permesso di fare un viaggio nella “realtà che ci circonda” creando Realisticamente, ho voluto dare un’impronta netta, un’impronta precisa e pulita, un’impronta alla legalità. Vengo dalla Calabria, lo sapete già, e mi sono trasferito al ricco nord che, qualche anno fa, si è svegliato e come ho scritto in questo articolo “ha scoperto di non essere immune”.Tornando a questo giorno, dove il pianto e le preghiere si impastano con le emozioni e gridi di speranza, non posso restare in silenzio. Nella mia breve esperienza da cronista di provincia ne ho scritte di giornate come queste e grazie a Caracò ho avuto anche il piacere di scrivere e lavorare per un’importante festival della legalità che è quello “Noi contro le mafie”. Un po’ di mesi fa, ho avuto l’onore e il piacere di condurre e moderare degli incontri con due personaggi fantastici che questo giorno, di 26 anni fa, se lo ricordano eccome. Uno è Giuseppe Costanza. Lui era l’autista giudiziario di Giovanni Falcone e in quel giorno era nella macchina, nel sedile posteriore, perché quando c’era Francesca, la moglie di Falcone, il Giudice voleva guidarla lui. Era protettivo il Giudice, lo è stato fino all’ultimo istante, fino all’ultimo momento che gli sguardi dei due coniugi si sono incrociati. E poi booom. Tutto finito. In quel maledetto pezzo di strada a Capaci, tutto si è spento.

Io non ero ancora nato e non ero nemmeno nei pensieri di mia mamma e mio padre. Chissà cosa avranno provato quando tutti i media di allora si collegarono sul luogo di quella strage nazionale? Chissà cosa avrà provato mio padre che tutti i giorni si svegliava, indossava una divisa e si recava al posto di lavoro, onorando il proprio stato e cercando, nella legalità, di renderlo più pulito da quella merda che inquina il mostro modo di pensare, la nostra anima, i nostri pensieri.

Io non ero nato quel giorno… eppure sento che in tanti di noi, quel giorno, è aumentata la consapevolezza.

La mia consapevolezza è aumentata quando, una sera di qualche mese fa, a Rubiera (Reggio Emilia) ho avuto l’onore di moderare una serata con ospite Angelo Corbo, uomo scorta di Falcone e sopravvissuto alla strage. Li vedevo i suoi occhi pieni di dolore e commozione quasi come se volessero cancellare una storia che, purtroppo, fa parte di noi. Di tutti noi. La storia, però, non la si può cancellare e se rivedere immagini di quelle auto saltate in aria mi fa tremendamente incazzare, pensate a coloro che le hanno provate sul loro corpo. Pensate a Giuseppe Costanza e Angelo Corbo, pensate a chi è rimasto in vita quel giorno ma nel tempo spesso ha smesso di vivere. A chi si porta dietro il peso del “sopravvivere” .

Sono passati 26 anni e la consapevolezza è aumentata ma il dolore resta, il ricordo aumenta. Lo vogliono infangare? Non ci riusciranno mai perché …. Ci sono loro ma ci siamo soprattutto NOI!