Made with love by Luca Giuseppe Murrone
Salvare vite umane non è un concetto di destra, tanto meno di sinistra. È un concetto umano. Punto.
O, almeno, così dovrebbe essere. Negli ultimi secoli, ma soprattutto anni, al verbo “salvare” si attribuiscono tanti, troppi, significati negativi, positivi. Come se la comunicazione fosse una cosa semplice, come se la Politica fosse una cosa semplice.
Uno degli avvenimenti di cronaca che, più di molti altri, sta restando a galla – nel vero senso della parola – sui media nazionali e internazionali degli ultimi tempi è quello della Sea Watch. Quello che è accaduto e continua ad accadere nelle acque del nostro Mare ha dell’incredibile, del paradossale. Occhio, però, a non cascare nel tifo da stadio, nelle decisioni “per partito preso” e nelle sentenze guidate dall’opinione pubblica.
La vicenda della Sea Watch 3 racconta dettagliatamente un processo di involuzione antropologica, sociale, culturale che sta caratterizzando quello che, un tempo, era definito il Bel Paese. Ora lo è ancora, di certo. Ma solo dal punto di vista del patrimonio culturale che, però, resta un tabù per molti, troppi, italiani.
“Con la cultura non si mangia” ci hanno sempre detto. Eppure, per migliorare lo stato di bellezza di una comunità e tanto più di un Paese, qualcosa, la cultura, potrebbe fare.
Non è questo il discorso. Il discorso è che ci sono Capitani e capitani. Non è solo un espressione mediatica, una similitudine giornalistica. È l’espressione più banale di un concetto grande che non è semplice da sintetizzare.
Ci sono femmine e Donne, ci sono bimbi e bambini, ci sono Umani e c’è anche Salvini. Per distogliere l’attenzione mediatica da approvazioni di leggi (?) del governo del cambiamento, ogni giorno, ne sentiamo di ogni tipo. Quella della Sea Watch è qualcosa di clamoroso. La nave della ONG olandese, guidata dalla Capitana Carola Rackete ha sfidato le nuove imposizioni governative del vice premier e ministro dell’interno Matteo Salvini che, adottando spesso e volentieri forme di espressioni classiche della ormai comunicazione politica 3.0 classificata dal turpiloquio, ha fatto capire la posizione dell’Italia su questa vicenda.
La Capitana, però, nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno, forzando il blocco delle vedette, è riuscita a portare in salvo i poco più di 40 migranti presenti a bordo. Nei giorni scorso, proprio Carola Rackete aveva dichiarato ai media: “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo”. Una dichiarazione forte e coraggiosa ma che ha alimentato il clima d’odio in questo Paese che, oggi più che mai, RealisticaMente parlando, sotto l’aspetto più umano, non può di certo prendersi il nobile titolo di “Bel Paese”.
Qualcuno, anche dal mondo della Politica – poi seguita con un eco rimbombante dalla massa popolare – ha deciso di usare espressioni del tipo “Affondatela” in riferimento alla nave, in riferimento alla coraggiosa capitana che ha sfidato quelli che, mediaticamente, vengono definiti “poteri forti”.
E poi, se spostassimo il nostro sguardo oltre oceano, potremmo accorgerci di come l’odio e la disumanità generale faccia i conti con la realtà. Raccapricciante è l’immagine simbolo di un padre e una bimba avvolti dalla stessa coperta. È diventata l’immagine simbolo del sogno di un mondo migliore che, purtroppo, è solo una stupida utopia.
Ci sono Capitani e capitani, ci sono umani e disumani. La realtà è questa e se è un reato Salvare vite umane, RealisticaMente parlando, il presente e il futuro, dovrebbero, per lo meno, farci un po’ paura.