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A parlare così nei confronti di una donna – per conto di una coppia di modenesi – sono, appunto, degli intercettati dagli investigatori reggiani nell’ambito di questa nuova operazione.
Si tratta di un’aggressione nei confronti di una donna ipotizzata nel pieno Nord, in Emilia in particolare.
Gli intercettati sono Domenico Cordua, cutrese d’origine ma stabilitosi a Parma, mentre parlano al telefono Giuseppe Friyo e un altro uomo con accento albanese.
Questo l’estratto della telefonata schok che riprendiamo dal CorrieredellaCalabria.it:«Ragazzi c’è da fare una lavorettino, se vi interessa eh (…) c’è da picchiare una donna…», dice Cordua. Risposta: «E che dobbiamo fare? Dobbiamo darle dei pugni?». Cordua: «La mandate in ospedale…o le buttate un po’ di acido sulla faccia». E ancora: «Dev’essere sfregiata?». «Bravo, solo la faccia però. Le butti l’acido addosso e te ne vai».
E ancora, altre frasi riprese e intercettate:« Si sente la voce del terzo interlocutore dire: «L’acido sai cosa le fa? Che dagli occhi non vede più». Cordua: «Bravo… e quello devi fare». L’altro uomo: «Quello è già… come morte!».
Friyo: «L’hai rovinata! L’hai rovinata». Il terzo uomo: «Eh, l’hai rovinata, eh, meglio sparare che rovinarle la vita».
A pianificare il tutto sarebbero stati – secondo gli inquirenti – come riporta la Gazzetta di Reggio, i due coniugi di Soliera (Provincia di Modena) Alberto Alboresi (47 anni) e Genoveffa Colluciello (55 anni) quest’ultima vice direttrice di banca. I due coniugi, secondo l’accusa, sarebbero “figure inquietanti” in questo continuo e sempre rinnovato film dell’orrore a stampo ‘ndranghetistico.
Nella mattinata del 12 marzo scorso, la Dda di Bologna ha fatto partire, appunto, l’Operazione Perseverance, con l’obiettivo di scoperchiare nuovi e vecchi giri loschi della criminalità organizzata a stampo ‘ndranghetistico ma anche per sventare quello che era, a tutti gli effetti, un blitz punitivo nei confronti di una donna.
Dalle carte fornite dalla magistratura su questa operazione si leggono i soliti “cognomi” a testimonianza di come le gerarchie e soprattutto l’ereditarietà familiare, in alcuni contesti criminali, tendano ad essere rispettati.
I NUMERI DI PERSEVERANCE
I numeri dell’Operazione Perseverance parlano di 29 indagati e tantissimi gli uomini delle forze dell’ordine impegnati sul territorio nazionale. I poliziotti e i carabinieri, infatti, hanno eseguito diverse perquisizioni, 35 in tutto, nelle provincie italiane.
Ancona, Parma, Pistoia, Latina, Crotone, Milano, Modena e Reggio Emilia. Sono queste le provincie interessate dai provvedimenti emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna su richiesta della Dda.
Sono ben 9 gli arrestati in questa operazione che – RealisticaMente parlando – a vedere la geografia delle zone interessate dimostra, ancora una volta, come il potere criminale sia solido in tutto il Paese.
A finire in manette nell’elenco dei 9, nell’ambito di Perseverance, ci sono anche il 59enne Giuseppe Sarcone e il 35enne Salvatore Muto. Entrambi, finora a piede libero, sono considerati – dagli inquirenti – i nuovi vertici della nuova ‘ndrangheta emiliana. In particolare Giuseppe Sarcone, l’ultimo dei fratelli Sarcone (famiglia di origine calabrese a capo di una cosca di ‘ndrangheta) è – sempre secondo gli atti di accusa – l’indiziato numero 1 per prendere i vertici della cosca.
VECCHI METODI
Gli arrestati di Perseverance si muovevano sotto mentite spoglie. Lo facevano contando su un sodalizio solido, efficace, composto da prestanomi vari su tutto il territorio nazionale. Quello che i Carabinieri di Modena e i poliziotti di Reggio Emilia e Parma hanno portato alla luce è, ancora una volta, proprio questo.
Le distanze che si accorciano ed in un attimo le faccende calabresi si mischiano con quelle emiliane e viceversa.
Secondo l’accusa, Giuseppe Sarcone, in particolare, nell’ambito di questa operazione anti ‘ndrangheta, si affidava proprio a dei prestanome per gestire attività economiche in particolare nel territorio di Modena e Reggio Emilia. L’appetito era rivolto, principalmente, ad attività come sale scommesse, officine meccaniche, carrozzerie. L’obiettivo era affidarsi a prestanome per poter così – come scrive il CorrieredellaCalabria – salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri, vista la misura di prevenzione, emessa nel 2014, nei confronti della famiglia Sarcone.
Sembra un film dell’orrore già visto e rivisto se si comprende bene, RealisticaMente parlando, la gravità di alcune frasi emerse da quell’intercettazione e non solo. La ‘ndrangheta – come ribadito anche da molti pentiti – può contare anche sul potere femminile, oggi. Ma può, come si è visto più volte, fare anche tanto male alle donne perché essa non guarda in faccia nessuno e passano i secoli ma l’orrore della ‘ndrangheta si rinnova sempre.