Made with love by Luca Giuseppe Murrone
C’è un’Italia malata di precarietà, immeritocrazia e indifferenza. C’è un Paese che non vuole reagire alla fuga dei cervelli e alla sete dell’ignoranza. Eppure qualcosa si deve fare, si potrebbe fare ma non abbiamo la forza, non abbiamo la voglia e, forse, nemmeno il coraggio.
Non esiste, forse, un lavoro perfetto capace di soddisfare quello che, nel mondo delle HR, in italiano “Risorse Umane”, definiscono worklife balance che consiste, banalmente, nel bilanciamento tra la vita privata e quella lavorativa. I lavoratori italiani, RealisticaMente parlando, sono per lo più insoddisfatti. Non lo diciamo noi ma lo dicono loro e lo affermano, ovviamente, diversi sondaggi reperibili sul web.
Il dilemma che forse caratterizza milioni di lavoratori è sempre quello da anni: lavorare per vivere o vivere per lavorare e nel periodo in cui si dovrebbe celebrare il lavoro, del giorno del 1° maggio, siamo costretti, tutti noi, a porci ovviamente ancora di più questo interrogativo.
Sebbene l’Istat riporta numeri che potrebbero farci sentire tutti fiduciosi e speranzosi dal punto di vista occupazionale, è necessario analizzare attentamente i dati e le statistiche. Anche se l’occupazione sta aumentando, non è sempre vero che aumentino anche i salari. In un Paese in cui spesso si fa affidamento sull’arte dell’arrangiarsi e dello sfruttare gli altri, questo non è sempre corretto.
Se il Sud vacilla nel limbo dell’incertezza tra Reddito di Cittadinanza e compagnia bella, con nuove misure di sussidi che tendono ad aggravare sui costi dello Stato, il Nord sicuramente non “campa” meglio. E a proposito di “campare”. Sapete quanto deve “campare” e lavorare un giovane per permettersi anche solo un bilocale in una città come Milano? Tanto, troppo. Qui ci sono i dati di Skytg24 che testimoniano il problema di fondo. E allora torna il dilemma: lavorare per vivere o vivere per lavorare?
Non solo, questo, ovviamente. Il lavoro serve per vivere e renderci indipendenti. Farci togliere gli sfizi, andare in vacanza, respirare, rilassarsi, godersi magari qualche giorno in montagna o al mare. E con i ponti lunghi come quello del 25 aprile o del 1° maggio sono tantissimi gli italiani che si sono avvalsi anche di prestiti finanziari per “staccare la spina”. Perché per molti il lavoro logora chi non ce l’ha.
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA
Se i numeri parlano chiaro, occorre fare ulteriore chiarezza su un tema che fa notizia solo nella drammaticità, solo nella tragedia. Ma nella bellezza e incertezza del lavoro (im)perfetto degli italiani non si può non appellarsi al lavoro che fa morire. E sono numeri allarmanti. Numeri che spaventano, numeri che preoccupano e che, RealisticaMente parlando, dovrebbero farci riflettere.
E a proposito di numeri, nell’altra faccia della medaglia del lavoro (im)perfetto degli italiani vi è sicuramente la notizia delle 196 morti bianche del primo trimestre del 2023. Lo afferma l’Inail che fa anche la statistica di dati in crescente e preoccupante aumento se confrontati con lo stesso periodo del 2022, dove il numero dei morti sul lavoro, nei primi mesi dell’anno, è stato di 178.
Ogni morto “bianco” è spesso figlio di politiche lavorative errate, di non rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza. Ma non solo. Dietro le morti bianche ci sono storie. Storie di sogni infranti, di obiettivi irrealizzati. Storie di grida e di silenzi.
E a proposito di silenzio urliamo il nostro dissenso
Al . . .lavoro che fa morire
Il lavoro che fa patire
Al . . . lavoro che non ti fa campare
Al . . . lavoro che non ti fa respirare
Al . . . lavoro di lavorare per cercare lavoro
Al lavoro per vivere
Al lavoro per vivere e lavorare
Al lavoro delle crisi di panico, delle ansie e depressioni
Al lavoro delle donne che subiscono mille pressioni
Al lavoro di abbassare le testa e non dare le dimissioni
Al lavoro che manca
Al lavoro che stanca